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Morto per amianto, il tribunale di Cosenza condanna le Ferrovie della Calabria a risarcire gli eredi - ONA Cosenza
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Il caso riguarda un operaio ammalatosi di mesotelioma pleurico dopo un’esposizione lunga più di trent’anni al pericoloso materiale

Morto per amianto, il tribunale di Cosenza condanna le Ferrovie della Calabria a risarcire gli eredi

Il Tribunale di Cosenza con una sentenza storica ha condannato le Ferrovie della Calabria a un esemplare risarcimento danni a favore degli eredi di un lavoratore morto per mesotelioma pleurico epitelioide dopo una lunga sofferenza. Una storia drammatica come quella di tanti altri lavoratori che per anni, tenuti all’oscuro della nocività dell’amianto e privi di ogni dispositivo di protezione hanno respirato la fibra killer nei luoghi di lavoro.

Sin dagli anni ’60 è stata riconosciuta la pericolosità dell’amianto che provoca il mesotelioma ed altre patologie asbesto correlate. Nel 1992 la legge ha messo al bando l’amianto che nell’indifferenza delle amministrazioni e dei datori di lavoro continua a fare vittime. Solo la bonifica dei territori e dei luoghi di lavoro potrà fermare la silente strage che ogni anno provoca oltre settemila vittime.

Si dichiarano soddisfatti gli avvocati dell’Ona Cosenza (sezione territoriale dell’Osservatorio Nazionale Amianto) Patrizia Coschignano ed Elena Runco (nella foto con il presidente Giuseppe Infusini) che hanno vinto presso il Tribunale di Cosenza un’importante e difficile battaglia processuale a favore della famiglia della vittima di amianto.

La sentenza

Scrive il giudice del Tribunale di Cosenza Sezione Lavoro: «Dunque, la prova testimoniale e la documentazione prodotta hanno evidenziato la violazione da parte del datore di lavoro dell’art. 2087 c.c. non adottando quelle cautele di sicurezza necessarie a tutelare la salute del lavoratore. Peraltro, non può non sottolinearsi come il datore di lavoro sia responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore. Sia se ometta di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente…».

In sostanza il Tribunale di Cosenza – Sezione Lavoro ha accolto il ricorso per il maxi risarcimento del danno non patrimoniale iure proprio e iure ereditatis dagli eredi del lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico dopo aver lavorato alle dipendenze delle FdC per oltre trent’anni.

Gli avvocati Patrizia Coschignano ed Elena Runco hanno dimostrato nel corso dell’istruttoria che il lavoratore non era mai stato informato sulla letalità dell’amianto e non era mai stato dotato di adeguati dispositivi di protezione e che pertanto il datore di lavoro aveva agito in violazione di tutte le norme a tutela della salute dei lavoratori. L’azienda, dotata di un organismo deputato ad assicurare e garantire la salute dei ferrovieri, non poteva disconoscere i rischi e la pericolosità cui andavano incontro i propri dipendenti esponendoli alle polveri d’amianto attraverso le varie mansioni che esercitavano.

È stato inoltre provato che il lavoratore ha respirato fibre di amianto per oltre trent’anni nelle Ferrovie della Calabria dove trascorreva intere giornate all’interno di locali privi di aspiratori delle polveri e senza ricambio d’aria. Il lavoratore era privo di qualsiasi dispositivo individuale di protezione e senza alcun controllo da parte del datore di lavoro. Lo stesso lavoratore tornava a casa con i vestiti di lavoro impregnati di polveri di amianto ignaro che le stesse potessero costituire un grave rischio anche per la salute dei familiari.

La consulenza tecnica di parte

La corposa consulenza tecnica di parte per conto degli eredi redatta da Giuseppe Infusini, presidente dell’Ona di Cosenza, uno tra i massimi esperti nella valutazione delle esposizioni all’amianto di origine professionale ed ambientale, ha accertato che «oltre a svolgere mansioni che comportavano l’esposizione a materiali contenenti amianto di natura friabile presso l’ex deposito ed officine delle linee cosentine delle Ferrovie della Calabria, il lavoratore eseguiva interventi di manutenzione sulle coperture in cemento amianto di stazioni, caselli e depositi, eseguendo tagli e fori con attrezzature che sollevavano quantità massicce di polveri d’amianto».

«Il lavoratore, in definitiva, è stato esposto continuativamente, sia in maniera diretta che indiretta, alle fibre d’amianto, svolgendo mansioni in ambienti significativamente contaminati, privi di pareti di separazione, scarsamente ventilati e non dotati di dispositivi di aspirazione; gli ambienti lavorativi erano tali da consentire la dispersione delle fibre d’amianto che si accumulavano in maniera massiccia in ogni reparto (falegnameria, officina meccanica, torneria, sala macchine, ecc..). Esistono, quindi, tutti gli elementi acclaranti l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta dal lavoratore presso le Ferrovie della Calabria e la patologia tumorale contratta nonché l’assenza di esposizioni riconducibili a contesti extraprofessionali. È stato inoltre dimostrato che fino agli inizi degli anni ‘90 nessuna delle cautele in grado di ridurre la dose di esposizione all’amianto, benché previste dalle disposizioni normative, è stata adottata dal datore di lavoro, cautele che sarebbero servite, evidentemente, a posticipare l’insorgenza della malattia e ad allungare la vita del lavoratore».

Si legge nella consulenza che i mezzi rotabili delle Ferrovie della Calabria provenivano dalle medesime officine ferroviarie che producevano carrozze, locomotive ed automotrici per le Ferrovie dello Stato e che una carrozza poteva contenere fino a 800 chilogrammi di amianto. «L’amianto era presente nei materassini e/o pannelli che isolavano le pareti laterali ed il soffitto delle carrozze, nel sottocassa (amianto spruzzato), sotto il pavimento, nei vani contenenti apparecchiature elettriche, nell’isolamento delle scaldiglie elettriche, attorno alle condotte dell’acqua, nelle parti di alcuni arredi, nei cordini usati per le guarniture delle portine delle locomotive, nelle guarnizioni delle parti meccaniche, nelle frizioni e nei freni. I mezzi rotabili interessati erano le locomotive a vapore e diesel, le automotrici, i locomotori elettrici ed i vagoni ferroviari (carrozze passeggeri e merci)».